Cucina, fritto e consapevolezze varie

Come la cucina può essere il luogo del ricordo e della consapevolezza

In questi giorni calabri, sospesi tra il lavoro e le ferie, mi sto dedicando alla cucina, come sempre, ma con una attenzione particolare a quella tradizionale.

Oggi ho fatto la parmigiana, iniziando stamattina presto con i preparativi, e con, per me, un ottimo risultato.

Nei giorni scorsi ho fatto la caponata, le frittelle di fiori di zucca, le polpette di melanzane ed i peperoni ripieni. Diciamo che viaggio ad 1 litro/settimana di olio extravergine di oliva. Il fritto ha delle regole da rispettare.

Come dicevo stamattina al telefono a Sara, che mi chiedeva se la parmigiana si cuocesse al forno, l’unica incertezza e se friggere le melanzane una o due volte (fritte una volta, impanate e rifritte). Il forno ok ma non è la stessa cosa!

Il secondo anno a Milano da studente (il primo avevo abitato da mia zia, per mitigare il salto nel vuoto Reggio Calabria –> MIlano) sapevo fare pochissime cose da mangiare. Per far prima cuocevo la pasta il lunedì per tutta la settimana, mangiando alla fine qualcosa, si commestibile, ma assolutamente non classificabile.

Poi qualcosa è scattato e mi ha fatto appassionare alla cucina, mi ha fatto sperimentare ricette e modalità per diventare diciamo bravo e fare anche i dolci, come questa sacher.

Per un meridionale l’affetto, il prendersi cura dell’altro, l’amore, l’attenzione passano linearmente attraverso il cibo, e più oliato è più queste componenti sono presenti. Friggere a 40°, dovendo tenere tutto chiuso se no il vento spegne il fuoco è sicuramente una prova d’amore (altro che quella di una nota pubblicità di profilattici di decenni fa). Ci sono diversi meme su questo e sulla prima domanda che si fa al sud: “cosa vuoi che ti preparo?”. C’è tutta la disponibilità e la cura. E’ un ti voglio bene calorico!

La cucina è anche un posto dove riesco a sperimentarmi senza dare peso al giudizio degli altri, senza curarmi del risultato, ma solo del percorso da fare per arrivarci. E’ singolare questa cosa, perché io sono molto sensibile al giudizio degli altri. Ho la spinta a compiacere (in termini di Analisi Transazionale) ed avere un giudizio positivo era talmente importante per me, che a volte è stato paralizzante.

In cucina no. Mi stupisco di ciò e mi piace questa libertà che finalmente mi concedo. Mi permette di sperimentare, imparare, condividere. Molto spesso provo dei piatti per la prima volta con degli ospiti. A volte è andata bene, a volte male. Mai in modo disastroso, per fortuna.

Sto imparando a lasciare andare, a ricercare il piacere nel fare, piuttosto che l’approvazione nel risultato. Sto passando dall’esterno all’interno in termini di attenzione e di considerazione.

La cucina ha per me anche un altro significato, romantico ed affettivo. Mi avvicina a mia madre. Ricordo che da piccolo passavo molto tempo con lei quando preparava da mangiare, o i dolci o altre cose in cucina. In genere davo un piccolo aiuto, era sopratutto il modo per passare del tempo assieme, sopratutto dopo essere emigrato a Milano per studiare. Nonostante il mio poco mettere le mani in pasta, ho scoperto nel provare a fare dei piatti che avevo assimilato i passaggio da fare, i movimenti da mettere in atto con le mani. Solo guardando. Ho scoperto con stupore e commozione che le mie mani sapevano come replicare quei particolari movimenti per impastare, per fare le crispelle, o le polpette o tante altre cose.

Cucinare è diventato il mio modo per stare nel presente e per prendermi cura dell’altro. Ed modo per sentire mia madre vicina.

Una parmigiana a volte è più efficace di una seduta di psicoterapia, se tra una frittura e l’altra c’è la disponibilità ad ascoltarsi.

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