Il salto del tornello

Scusi, mi apre il tornello? Ho riconsegnato il badge e devo andare via.

E no, io non posso aprire, venga che gliene do uno provvisorio. 

Scusi, non mi serve provvisorio, è il mio ultimo giorno di lavoro. E poi, per venire da lei dovrei comunque uscire. Come facciamo?

Ah non so!

Guardi scavalco e vado via!

Gli sceneggiatori di Boris non avrebbero saputo fare di meglio nel creare una scena così surreale da essere vera.

Una mia amica commentando il mio post esterrefatto di quattro anni fa, mi disse che ero prigioniero e che era evidente che per ottenere la libertà era necessaria un’evasione.

Questa metafora, da un lato, rendo bene la sensazione che ho provato quel giorno, era realmente una sensazione di libertà, di essermi ripreso il mio destino, di aver deciso qualcosa senza restare in balia degli eventi. Avevo passato molti anni, ad andare con il freno tirato, con i remi in barca, fermo, e mille altri modi di descrivere il mio stato di immobilismo. Per poi finalmente prendere la migliore decisione della mia vita.

Sono passati quattro anni da quel giorno, e tante cose sono successe. Nessuna di quelle previste, ad essere sinceri. Il piano A, che mi ero costruito per l’uscita, si è frantumato contro la realtà, che non avevo previsto, nel giro di qualche mese. Anche se poi ho retto quattro mesi prima di lasciare un’altra volta. Diciamo che ci avevo preso gusto.

Ma sopratutto non potevo più sopportare un ambiente tossico, che non rendeva felice. In questo lasciare non avevo pronto un piano A, e neanche uno B. Ma ero contento essere ripreso il lusso di decidere. Anni fa avevo fatto la scelta opposta, ed avevo deciso di restare nell’ambiente più tossico per me, trovandomi demotivato, con il collo bloccato (il corpo non mente, come scrive Marchino), ed iniziando a coltivare il più longevo modo di compensare che mai avevo messo in pratica. In questa pratica ho fatto balli latino americani, tango, shiatzu, e tutto quello che trovavo lungo il mio cammino per compensare appunto.

Mi sono reinventato e devo dire che mi piaccio molto. Sono sempre in balia degli eventi, ma con la consapevolezza che assecondo il flusso che mi piace, e mi allontano da quello che non mi da soddisfazione. Che sia rappresentato da persone, aziende o attività. A volte sembrerò egoista, e forse è vero, se per egoismo intendiamo pensare a se stessi con agli altri (si lo so qualcuno, per altro con il mio stesso nome di battesimo diceva il contrario).

Tornado al salto del tornello, l’altra riflessione che mi viene in mente è che alcune attività hanno perso completamente la connessione con la realtà, e non mi riferisco alla persona che mi rispose allora dall’interfono. Stava facendo il suo mestiere. Forse, e qui libero il mio senso organizzativo e da ingegnere, chi ha scritto quel processo avrebbe dovuto pensare alla realtà, a quello che succedere davvero tutti i giorni, ed a come poter risolvere queste cose e poi, ma solo poi, a come rappresentarle.

Un processo che ragiona per assurdo, o solo con casi “felici” non è un processo reale.

In più, forse la mania di voler a tutti i costi rappresentare dei processi precisi e puntuali, invece di definire dei confini ragionevoli, soddisfa il bisogno di standardizzare, ma non aiuta il fare. Non viviamo in una realtà standard, e la maggior parte delle volte tutti i casi che abbiamo pensato non sono esaustivi delle molteplici espressioni della realtà. Sarebbe ora ce ne facessimo una ragione.

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