La notizia della morte di Otello Profazio, uno cantante popolare di sucesso, mi ha colpito. Faceva parte della mia infanzia, era compagno di scuola di mio padre, ed anche lui era protagonista delle storie che mi raccontava della sua giovinezza nell’immediato dopoguerra.
Profazio era l’espressione di una cultura popolare che, questa è la mia percezione, negli anni ’70 era da tenere a distanza. Evidenziava un livello culturale, una appartenenza da cui era meglio prendere le distanze.
A scuola ricordo che ci suggerivano caldamente di non parlare mai in dialetto, a noi ed ai genitori. Serviva per far parlare in italiano, ma ha contribuito a far prendere le distanze ad una intera generazione.
Ricordo bene quando nelle saghe, o nei ritrovi tra vicini, dopo qualche raccolta o macellazione, dove ci si divertiva dopo la fatica fatta, che alle richieste di alcune canzoni popolari i giovani cantori si rifiutavano.
Profazio, e l’ho scoperto da poco, aveva girato la Calabria in lungo ed in largo per raccogliere testimonianze per farne canzoni, storie, memoria. E con queste storie è riuscito a vendere più di un milione di copie di un suo disco.
Un altro musicista calabrese ha voluto fare un tributo ad una sua canzone famosa: “qua si campa d’aria”, eccola: