
Lo so di essere ripetitivo, lo so di parlare sempre del mio viaggio, non posso farne a meno. So anche questo!
Il 10-11, cinque anni fa, prendevo il largo. Nel vero senso della parola, posso dire dopo un po’ di tempo passato a navigare per mare e non solo. Beh da allora sono sbarcato sulla terra ferma tante e tante volte, ma non mi sono più fermato.
Ecco questa faccia da schiaffi, barba incolta (iniziavo da li a farla crescere per l’ennesima volta, ma questa volta non la ho ancora tagliata), occhi socchiusi e sorriso sulla faccia, non è cambiata molto da allora. Io invece tantissimo e non mi fermo più.
Parlo sempre di questo viaggio, che per me rappresenta IL VIAGGIO, perché ha fatto scattare qualcosa dentro di me. Da questo punto di vista è così importante per me.
E’ una avventura che fanno in molti, non ci sono eccessivi pericoli o rischi, solo una certa pressione psicologica dovendo restare in mare per un po’ di tempo, nel mio caso 21 giorni. Ed ognuno lo attraversa nel modo che gli è congeniale. Con la connessione interiore che gli viene, ed ogni modalità è quella che va bene per chi la agisce.
La mia è stata silenziosa, anche perché l’equipaggio era francese ed io, anche se l’ho studiato a scuola, non che sia proprio fluente, e poi in barca non parlo molto di solito, mi godo la natura e le sensazioni che il mare sa regalare.
In genere osservo molto il mondo che mi circonda con occhi attenti e, contrariamente a quanto si pensa, in mezzo all’oceano è pieno di cose da osservare. Oltre ai compagni di viaggio.
Durante il mio viaggio non è che abbia pensato chissà cosa, ero concentrato a vincere “Master Chef” per la cucina con i francesi, a convincerli a non mettere la panna nella carbò (come la chiamano loro), a tenere spy di notte con 20 e passa nodi, o solo a riposare appena possibile.
Mi sono goduto tutto quello che accadeva senza dare un peso che non fosse il li e l’allora, scanditi solo dai turni di timone, nav o corvée, ogni giorno slittati di due ore, in modo da vivere ogni momento del giorno e della notte.
Sceso a terra non stavo in equilibrio per il cosiddetto “mal di terra”. Ricordo ancora aver dovuto scendere delle scale con il classico spazio vuoto tra un gradino e l’altro, per di più di rete, aggrappato al corrimano perché era difficile restare in piedi.
Il non equilibrio non era sono un fatto fisico, era anche una sensazione che ha iniziato ad accompagnarmi da quel primo dicembre del 2017 dopo aver toccato terra a Le Marin, in Martinica Francese. Un nuovo stato che mi ha fatto pensare su come stavo vivendo, su quello che mi stavo permettendo di fare e, sopratutto, su quello che non mi permettevo. Per paura, per pigrizia, per aver messo a sopire desideri e sogni per troppi anni. Piccolo cabotaggio per dirla in termini marinari.
Ed è proprio vero che il primo passo non è quello definitivo, ma quello per toglierti da dove sei. In fin dei conti, l’importanza del primo passo non è la direzione, ma farlo. Sono gli altri che seguiranno che andranno nella direzione giusta, magari con qualche deviazione.
Il mio primo passa è stato, a posteriori, un passo falso, che mi ha permesso di vincere quell’inerzia che mi aveva fermato per tanto tempo.
I successivi non li so descrivere, non li ho pianificati prima e sono venuti uno dopo l’altro con naturalezza.
Mi sono appassionato delle cose che faccio. O forse sarebbe meglio dire che finalmente faccio le cose che mi appassionano e sono felice quando le faccio, e si percepisce.
Riesco bene in quello che faccio, e non perché io sia particolarmente bravo, ma perché lo trovo appassionante ed interessante, degno di essere fatto a regola d’arte.
La narrazione marinara o nautica è quella che caratterizza la mia formazione, e nella quale attingo a piene mani per spiegare concetti importanti.
E’ una narrazione che mi si addice: da quando ho messo piede su una barca, ho abbandonando la stabilità della terra ferma per un continuo susseguirsi di innumerevoli e brevi momenti di equilibrio, un continuo movimento per restare in piedi ed andare avanti.
Quando salgo in barca ho sempre paura, adesso ancora di più mettendo piede sulla mia Zhora, poi appena mollati gli ormeggi e fatta la manovra svanisce. Le mani si muovono da sole tra l’attrezzatura sapendo cosa fare. Non che non incontri difficoltà, ma entrano in gioco altre emozioni. Ecco la stessa cosa mi capita ad una nuova attività lavorativa, un nuovo workshop, o un nuovo corso. Prima di iniziare sono teso, impaurito. Poi inizio ed entro nel flow delle attività, le parole vengono facilmente ed efficacemente.
In entrambe le situazioni tutto quello che ho fatto, senza un piano prefissato, torna e trova una collocazione, un significato, uno scopo, ed è bellissimo riuscire ad usare qualcosa appreso tempo fa, per caso, senza avere, allora, uno scopo preciso.
Devo tanto al mare. Non lo dimentico





