Quando la ricorsività si mescola con i ricordi
E’ un febbraio particolare questo, o forse sono io che mi ostino a trovare particolarità che forse non lo sono.
Per tante cose sono come i bambini, e me lo dico a mo di complimento. Per esempio trovo attraente la ricorsività. E’ un tema caro al pensiero orientale, che sulla ricorsività ci ha scritto tanto. Io amo immaginarmi la ricorsività come una spirale, un elica. Qualcosa che, si rifà lo stesso cammino, ma non proprio lo stesso. In genere, per me, sempre su un piano diverso, Amo per esempio rivedere film già visti, ma che ogni volta mi restituiscono dettagli diversi, chiavi di lettura diversi. Forse, senza troppe pretese, sarà la rassicurante conoscenza del finale che mi fa fare queste cose.
Ieri in tema di ricorsività ho rifatto una escursione fatta il 5 dicembre a Gallicianò. Proprio per avere altri punti di vista diversi su cose già viste.
Il percorso lo abbiamo fatto al contrario, e le cose viste salendo sono diverse da quelle viste scendendo. I piani cambiano, la fatica cambia.


Non cambia la bellezza dell’Ammendolea, anche se è sempre diversa a seconda della luce o del periodo dell’anno.
Qualche giorno fa parlavo del progetto delle panchine giganti con una mia amica, commentando che spesso, anche se messe in modo da ammirare il paesaggio, la maggior parte delle foto rappresentano le persone sedute su queste enormi panchine. Omettendo il pezzo forte dell’installazione, il paesaggio.
Ieri ne abbiamo vista una anche noi, con vista spettacolare, ed ombra naturale.

Rispetto a dicembre la natura sta per prendere il sopravvento prepotentemente. Certo si vedono molto bene le ferite dei fuochi della scorsa estate e molto è rimasto marrone e non si sta colorando di verde come dovrebbe essere. Ma è pieno di fiori e di animali. Processionarie e capre curiose ovunque.


La nostra terra, nonostante non sia troppo popolata, presenta tracce di antropizzazione che farebbero inorridire i più, e che noi osserviamo con quella noncuranza che è la nostra salvezza ma anche la nostra rovina.
Come se l’unico pensiero possibile sia quello di immaginare queste cose come parte integrante del paesaggio, e non come uno sfregio alla bellezza della nostra montagna.
Certo, la natura provvede ad integrare al meglio queste cose, ma fa sempre specie trovare un tigrotto (forse) ed una 500 d’annata in posti dove non dovrebbero essere.


La noncuranza è la nostra arma per accettare tutto quello che non va. Ci aiuta a filtrare la realtà per trattenerne il meglio ed eliminare le incongruenze. E spiega tante cose. All’origine c’è il pensiero castrante che nulla può essere diverso da come è. E che non può cambiare, non è possibile cambiare.
Ecco questa è la parte che ci frega, che non ci fa cambiare le cose. Lasciando tutto come prima, stemperando la rabbia che dovrebbe montare a vedere certe cose.
Forse perché basta girarsi per rifarsi gli occhi!



Andare nella zona grecanica, a Grecìa il monte e Gallicianò il paese, significa entrare in contatto con un mondo che viene da lontano, dove si parla ancora il greco antico, tramandato per via orale.
Significa incontrare una persona, Mimmolino, che ha deciso di dedicare la sua vita a questo borgo, a ridare nuova vita alla chiesetta ortodossa del paese, a creare un museo, e a mettere la sua conoscenza a disposizione gratuitamente delle persone curiose.



Questa escursione mi serviva proprio. Avevo bisogno di trovare un po’ di serenità che questo febbraio mi ha tolto.
MI serviva per liberarmi del peso accumulato e della mancanza che provo quando sono lontano dal mio mare.
Salendo verso Grecìa ieri, parlavo con Francesco Pileggi di questa mancanza. Abbiamo scoperto questa cosa che accomuna. E mi venuto in mente quando al cinema ho visto Mediterraneo con quelle immagini del mare. Ero a Milano da troppo tempo, e la sensazione di mancanza, di dolore quasi, che ho provato davanti a quelle immagini la ricordo benissimo ancora adesso.
Non dovremmo sentire delle mancanze, o almeno vivere riducendole il più possibile.
