Fo(r)ragabbu

Foragabbu (fuori dal garbo) è un termine dialettale calabrese che sta ad indicare qualcosa di sproporzionato, fuori dai canoni, che trascende la normalità

Inizio ad essere ripetitivo, lo so! Ma come si fa a non esserlo?!

La settimana è iniziata malissimo, riprendendo il lavoro e con un tempo davvero brutto, pioggia, vento e freddo (niente convento per la facile rima).

Ammetto che anche quest’anno gennaio stava facendo il suo naturale corso minando il mio consueto buon umore e tirandomi in uno stato catatonico che conosco bene.

Anni fa, quando ero studente, e dopo le feste natalizie tornavo a Milano con il treno, ricordo l’angoscia di partire di pomeriggio da Reggio e di svegliarmi (si fa per dire, visto il viaggio sull’ossimoro ferroviario “Freccia del Sud”) la mattina successiva in Pianura Padana, con un panorama plumbeo, tutto ghiacciato e con una bella nebbia che rendeva tutto tristissimo.

Adesso, causa Covid-19, posso lavorare every where online e per questo sono ancora qui abbondantemente dopo le feste!

A metà settimana ho chiesto aiuto a Demetrio, la guida fondatore di Aspromonte Wild:

dimmi che questa domenica mi porti fuori?!

La risposta è stata si, ed eccoci pronti per una forra, in pieno inverno, il 16 gennaio. Solo in Calabria è possibile pensare di immergersi in acque di fiume, lungo dei canyon ombrosi in questa stagione. E solo qualche giorno fa uscendo a correre la mattina c’erano 5 gradi!

Si è vero che la mia prima forra l’ho fatta nel 1999 a novembre, a Pfuntz con ben altre temperature, ma allora avevo 22 anni di meno!

Sono quello a destra!

Anche oggi siamo andati verso San Carlo, sullo Jonio, dopo Condofuri (sembra il nome significhi covo di ladri). E’ incredibile come dalla strada nulla faccia immaginare quello che la montagna nasconde, gole profonde e scavate dall’acqua nel tempo. Vegetazione lussureggiante e pietre di ogni tipo e composizione. Ogni tanto qualche monolite enorme appoggiato in qualche anfratto con noncuranza chissà da quale piena fa capire che le acque chete dei nostri torrenti, a volte. sanno esprimere una potenza dirompente e distruttiva. Lo sanno bene i vari paesi lungo l’Ammendolea come Roghudi dichiarato inagibile dopo le alluvioni del 1971 e 1973.

Oggi abbiamo esplorato la forra a Mazza Baruni, meno selvaggia della precedente e con meno rovi, per la gioia di tutti.

A dispetto del periodo invernale non c’era molta acqua ed abbiamo camminato per la maggior parte del tempo a volte facendoci scivolare lungo qualche piccolo salto. Qualche volta finendo in acqua fino al collo e dovendo nuotare.

Qualche salto degno di rilievo c’era che ho fatto piacere mettendomi sempre alla prova. Non mi abituerò mai alla sensazione di paura nel dovermi calare nel vuoto, da qualche salto a volte di 10 metri, a volte di 40!

Non mi abituerò mai, ma non rinuncerei a questa scarica di adrenalina per nulla al mondo. E poi a casa mia, nella mia bistrattata terra, in un Aspromonte che, come tutti i calabresi, si mostra nella sua bellezza con molta ritrosia e parsimonia solo a chi sa avere pazienza e vedere oltre le apparenza, oltre la superficialità.

Dopo un po’ di ore di cammino e con i piedi a mollo (non ho le scarpe adatte ancora), ho freddo ed ho le mani doloranti e raggrinzite, ma sono la persona più felice del mondo. Non lo so esprimere a parole, infatti non parlo molto durate le escursioni. Guardo molto per imparare i gesti che servono a fare le cose bene, i nodi che servono (ho sempre amato i nodi, perchè é un’arte fare bene qualcosa di resistente ma nello stesso tempo facile da sciogliere, che a fare nodi che tengono ma non si sciolgono son buoni quasi tutti).

ph Roberto Perla
ph Roberto Perla

Faccio fatica a descrivere il bello che vedo perché è come se le parole, non riuscendo a trasmettere quello che vedo, ne riducessero la bellezza. Meglio tacere 🙂

Finito la nostra escursione ci siamo fermati da un pastore che alleva pecore, capre e vacche e che ha il dono dell’ospitalità. Ci ha offerto il suo formaggio, la sua ricotta ed i suoi sottoli in una atmosfera conviviale d’altri tempi.

Le capre le tiene in un recinto che comprende una parete di tufo dove ci sono tante “stanzette” per loro lungo la parte, come un caprino condominio :-).

MI sto sempre di più innamorando di questa terra che mi ha visto andare via a diciannove anni nel 1986. Molte volte la considero una fuga, un aver rinunciato a fare qualcosa per cambiare le cose invece di restare per cambiale. So che vedere altre parti di mondo mi ha permesso di essere quello che sono, senza dimenticare da dove sono partito. Adesso mi dico che forse è arrivato il momento di restituire qualcosa a questa terra dura e difficile che mi ha insegnato che tutto è in salita, che la terra ti frana sotto i piedi, che l’acqua è bella ma può spazzare tutto in un attimo e che la bellezza di cui puoi godere non è mai gratis.

Ho la tenacia dentro di me, la testardaggine di un calabrese che a testa bassa si fa strada tra i rovi di una forra come tra le difficoltà della vita.

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